"African Mirror", presentato per la prima volta alla Berlinale, non mostra soltanto l’immagine discutibile dell’Africa di Gardi, ma queste immagini d’archivio della televisione svizzera riflettono anche la nostra identità elvetica e occidentale. René Gardi è stato un critico sentimentale della globalizzazione prima che la stessa avvenisse, il cui approccio tanto caldo quanto sprezzante all'Africa sembra a volte stranamente attuale. “African Mirror” suscita sentimenti ambivalenti perché rivela come ci rifiutiamo di guardarci ancora oggi in questo specchio.
Nato nel 1984, il regista Hedinger scoprì i libri di René Gardi sull'Africa nelle proprie mura familiari. Sono stati tradotti in decine di lingue. Per quanto riguarda i film di Gardi, sono stati trasmessi non solo dalla televisione svizzera, ma anche da quella giapponese e britannica. Quando più tardi lo stesso Hedinger realizzò cortometraggi in Burkina Faso per conto di una ONG, si rese conto della propria complicità di fronte ai pregiudizi e agli stereotipi dell'Africa. Il suo ruolo di cineasta bianco in un paese di cui conosceva poco la storia e la cultura lo metteva a disagio. È stato allora che ha sentito parlare dell'eredità quasi intatta di René Gardi e che infine ha potuto utilizzare per il suo film. Gli archivi in questione comprendevano diari personali, lettere, articoli di giornale, rullini, nastri e più di 30’000 fotografie, la maggior parte delle quali inedite.
“African Mirror” dimostra quanto l'Africa di Gardi fosse soggettiva e costruita. Le scene dei suoi film sono spesso accuratamente allestite per non lasciare alcuna traccia di “modernità”. La vita nelle città è deliberatamente nascosta. Questa visione del continente nero la dice lunga sullo spirito reazionario, critico nei confronti della civiltà, che caratterizzava Gardi. Ha nostalgia di un'epoca in cui tutto era più facile, sproloquia sulla libertà dell'uomo a stretto contatto con la natura, una libertà che così non è mai esistita neppure da noi. Specialmente quando si tratta di corpo e sessualità. Il cantastorie Gardi ha fatto sognare le avventure agli Svizzeri, in un'epoca in cui pochissime persone potevano fare viaggi a lunga distanza. Si rammaricava e deplorava che il nostro paese non avesse colonie proprie. Era quindi un sostenitore di quello che oggi si chiama “colonialismo senza colonie”. Perché la fotografia come la praticava Gardi era un elemento importante di questa visione colonialista del mondo.
Lo “specchio africano” di Hedinger offre quasi unicamente documenti sotto forma d’immagini, suoni e testi dagli archivi di Gardi. Il montaggio mette l'immagine e il suono in una nuova relazione; le foto iniziano a pensare e raccontano la storia dell'immagine che abbiamo dell'Africa.
di Daniel Hitzig, Alliance Sud. Traduzione: Jessica Grespi