Sono dati allarmanti, sono dati che devono essere denunciati. Sempre. Perché rompere il silenzio che circonda la violenza che subiscono le donne, è un dovere pubblico. Dentro le mura di casa si nasconde una sofferenza silenziosa e l’omicidio è solo la punta di un iceberg di un percorso di soprusi e dolore che risponde al nome di violenza domestica. E anche fuori, nello spazio pubblico, le donne non sono più libere di muoversi in piena sicurezza. Per questo pensiamo che non bisogna smettere di parlarne e cercare di sensibilizzare il più possibile l’opinione pubblica. Per questo pensiamo che occorra affermare e riaffermare che la donna non è un bene da possedere, la proprietà di qualcuno. La donna è una persona libera di autodeterminarsi.
Femminicidio è il termine tecnico usato per descrivere l'uccisione della donna. Stando all'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), la casa è il luogo più pericoloso per le donne. Nel 2017 ne sono state uccise oltre 50 mila a livello mondiale.
L'Ufficio federale di statistica indica nel suo studio che “in realtà, la violenza nelle coppie è più frequente di quanto indichino i dati statistici: infatti viene segnalata alla polizia solo in rare occasioni. Inoltre, la statistica non tiene conto degli interventi della polizia che non sfociano in una denuncia o in una querela”. Di fronte a questa realtà allarmante, il Consiglio federale ha deciso di potenziare le misure contro la violenza sulle donne e la violenza domestica. Nella sua seduta del 13 novembre 2019 ha perciò adottato una nuova ordinanza che va in questa direzione.
E poi ci sono i dati di Eurostat (rilevamenti 2017) che illustrano un quadro spietato del fenomeno: le donne che in Svizzera muoiono a causa di violenze inferte da loro congiunti sono in numero maggiore rispetto a quelle uccise in varie nazioni europee. Nella ricerca è recensita una media elvetica di 0,4 femminicidi ogni 100'000 donne, mentre questa proporzione è dello 0,13 in Grecia, dello 0,27 in Spagna e dello 0,31 in Italia. Solo in Francia e Germania si evidenzia un dato maggiore, rispettivamente 0,5 e 0,55 donne uccise ogni 100'000.
Almeno una donna su cinque di un’età superiore ai 16 anni ha subito degli atti sessuali non consensuali e più di una donna su dieci ha avuto un rapporto sessuale contro la sua volontà. Questo l’esito di un’indagine rappresentativa condotta dall’istituto gfs.bern su mandato di Amnesty International e che ha coinvolto circa 4'500 donne (indagine presentata nel maggio 2019).
La violenza contro le donne e la violenza domestica sono fenomeni molto diffusi anche in Svizzera e causano enormi sofferenze. Secondo l'ultima Statistica criminale di polizia, con 18 522 reati penali per violenza domestica registrati nel 2018, ossia 1498 in più rispetto all'anno precedente (+8,8 %), si è toccato un nuovo picco. Ogni settimana si registra inoltre un tentato omicidio, un reato che nel 2018 ha fatto 27 vittime, 24 delle quali donne. Insomma 24 femminicidi.
La violenza coniugale uccide più donne del tabacco, dell’alcool e della strada. E di recente il numero dei delitti è aumentato. Non ci sono ancora statistiche per il 2019. Stando a informazioni di stampa, fino alla fine di maggio si contavano già nove vittime di violenza domestica, di cui cinque donne uccise in pochi giorni.
Fenomeno strutturale e purtroppo trasversale a tutti i paesi e a tutte le classi sociali, la violenza sulle donne è tra le violazioni dei diritti umani più diffuse al mondo. Non c’è giorno senza violenza contro le donne. Non c’è stramaledetto giorno senza leggere sui giornali le cronache di episodi di violenza di cui sono vittime le donne, considerate dai loro aguzzini merce, proprietà personale sui cui esercitare controllo e potere.
Particolarmente esposte, tuttavia, le donne migranti. In un’intervista a swissinfo.ch (10 settembre 2019) Nadja Schüepp, assistente sociale e collaboratrice del Centro di consulenza per donne contro la violenza nel matrimonio e nelle coppie (Beratungsstelle für Frauen gegen Gewalt in Ehe und Partnerschaft) a Zurigo, ha spiegato che sono più donne con un background migratorio a rivolgersi ai centri di consulenza che quelle di nazionalità svizzera.
«Le donne svizzere- commenta l’esperta - hanno più mezzi finanziari, parlano la lingua locale e conoscono il sistema giuridico elvetico. Per questo motivo sanno a chi rivolgersi per chiedere aiuto. Maggiore è la dipendenza dal marito, maggiori sono le difficoltà di difendersi dalle sue angherie. Spesso, le donne migranti sono meno emancipate per una questione culturale, finanziaria o geografica. Inoltre, la violenza contro le donne è più presente nelle società in cui le disparità tra i sessi sono particolarmente accentuate e in cui sono tollerate le vessazioni nei confronti della partner».
Secondo uno studio dell’agenzia dell’Unione europea per i Diritti fondamentali (FRA), nel parlare dell’episodio di violenza sessuale più grave, le donne riferiscono di aver provato, in quel momento, per lo più sentimenti di paura, rabbia e vergogna per quanto subito. Le donne che hanno subito una violenza sessuale da una persona diversa dal proprio partner hanno anche riferito alti livelli di shock. Per quanto riguarda le conseguenze psicologiche a lungo termine la vittimizzazione da parte dei partner o di altri soggetti ha indotto le vittime a soffrire di perdita di fiducia in sé stesse, con un conseguente stato di vulnerabilità e ansia. Per un buon numero di vittime la sensazione di vergogna o imbarazzo per quanto subito è stato il motivo che le ha spinte a non denunciare alla polizia o a qualsiasi altra organizzazione l‘episodio più grave di violenza sessuale inflitto dal partner o da altri.
Ecco perché non solo occorre denunciare, ma migliorare l’immediata presa a carico delle vittime da parte della polizia e degli/delle operatori/trici sanitari all’interno del pronto soccorso, che sono le persone che vengono coinvolte in prima istanza.
Con l’organizzazione dell’evento del 24 novembre, la rete #nateil14giugno intende sensibilizzare non solo l’opinione pubblica, ma anche la politica, richiamando nel contempo anche la Convenzione di Istanbul. La rete invita a prendere parte alla manifestazione. Sulle tracce delle scarpe rosse, simbolo silenzioso per rompere il silenzio. E ricordare vite spezzate.
Per ulteriori info
Pepita Vera Conforti: 076 679 92 14
Chiara Landi: 078 818 31 92
Davina Fitas: 079 834 55 05
Françoise Gehring: 079 690 97 79
Le scarpe rosse
Il femminicidio è un tremendo fenomeno che non può essere trascurato ma deve essere combattuto con forza e coraggio perché ogni Donna ha il diritto di vivere, di amare e di essere amata nella totale libertà e nel rispetto del suo essere umano.
La messicana Elina Chauvet ha lanciato un progetto per denunciare ed urlare al mondo l’orrore che il femminicidio compie quasi quotidianamente e la forza di volontà di denunciare per poter rinascere. Un progetto che negli anni continua a trasmettere un forte sentimento di realtà, di dolore ma anche di forza. Si tratta di “Zapatos Rojas” (Scarpe Rosse), ovvero una distesa di scarpe rigorosamente rosse che identificano il numero delle violenze, delle morti e dei maltrattamenti che le Donne hanno subito nella loro vita. Ogni paia di scarpe rappresenta una storia di paura ma, ancor di più, caratterizza l’enorme forza di volontà di voler combattere tutta questa paura e questo dolore per far sì che questo orrendo fenomeno sia definitivamente sconfitto, che la Donna sia rispettata per la bellezza del suo essere. Il colore rosso è stato scelto poiché simbolo dell’amore, della passione che si trasforma in male e in violenza, simbolo della possessione morbosa che diventa una trappola mortale e simbolo della femminilità che purtroppo, oggi, troppe volte viene violata.
La Convenzione di Istanbul
Il 1°aprile 2018, in Svizzera è entrata in vigore la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (STCE n. 210; Convenzione di Istanbul), il trattato internazionale più completo che si prefigge di combattere questo tipo di violazione dei diritti umani puntando sulla prevenzione della violenza, la protezione delle vittime, il perseguimento penale e un approccio globale e coordinato. La Svizzera ha tuttavia firmato la Convenzione con 4 riserve.
L’approccio della Convenzione di Istanbul si basa sui seguenti quattro ambiti di intervento:
- la prevenzione della violenza
- la protezione delle vittime
- il perseguimento penale e
- un approccio politico globale e coordinato
L’approccio globale che caratterizza la Convenzione di Istanbul mira ad assicurare un miglioramento duraturo nella prevenzione e nella lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica in tutta Europa.
Forme di violenza contemplate e campo di applicazione
La Convenzione di Istanbul contempla e penalizza le seguenti forme di violenza:
- violenza fisica;
- violenza psicologica;
- violenza sessuale, compreso lo stupro;
- atti persecutori (stalking);
- molestie sessuali;
- matrimonio forzato;
- mutilazioni genitali femminili;
- aborto forzato e sterilizzazione forzata.
Per saperne di più:
https://www.ebg.admin.ch/ebg/it/home/temi/diritto/diritto-internazionale/consiglio-d- europa/convenzione-di-istanbul.html