Quest’anno, in occasione dei 20 anni decorsi dall’istituzione della legge federale sulla parità dei sessi, si è discusso molto sulla situazione attuale della donna nel mercato del lavoro. Qual’è il suo bilancio?
Come tutti i bilanci, anche questo è in chiaro-scuro. Se da una parte possiamo essere ben contenti perché sulla carta non esistono più professioni precluse alle donne, dall’altra parte dobbiamo fare i conti con la difficoltà reale di accesso a determinate posizioni come pure all’esistenza di forme di discriminazione.
Quali pensa siano i maggiori ostacoli al raggiungimento della parità?
Forse l’ostacolo principale per il raggiungimento dell’effettiva parità sta nel non aver ancora capito che la parità è una condizione di vantaggio e sviluppo per tutta la società e non solo per le donne. Se avessimo questa convinzione, avremmo politiche famigliari e sociali differenti: i paesi del Nord Europa, hanno testato già diverse strade. Basterebbe copiare quella che meglio si adatta alla nostra società.
La parità è quindi difficile da attuare?
La parità non è difficile da attuare; è piuttosto l’idea di parità difficile da far passare.
Pensa che la situazione professionale femminile in futuro migliorerà o, purtroppo, rischia di peggiorare?
Io credo molto nelle giovani generazioni e nel rispetto che vedo tra studenti e studentesse: giovani adulti che non necessitano più di affermare il loro successo in funzione di ruoli sessuali prestabiliti, ma che cercano la loro identità nelle loro azioni. Le donne oggi mostrano le loro capacità in tutti gli ambiti professionali e gli uomini, anziché combatterle o denigrarle, le stimano e le sostengono.
In tema di parità, viene spesso elogiato il modello societario dei paesi nordici. In cosa differisce dal nostro e cosa avremmo da imparare?
Una differenza sostanziale sta nell’aver riconosciuto che il sostegno alla parità significa anche sostegno alla famiglia. Non solo con strutture che conciliano lavoro e famiglia, ma anche con tempi di lavoro e dell’economia pensati per genitori o per individui che per esempio vogliono lavorare a tempo parziale. Certo, non tutto è venuto spontaneamente. Si è passati attraverso l’imposizione di quote rosa dalla politica alle aziende, di congedi parentali obbligatori e ultima nata in Islanda, la prima legge per la parità salariale. Ma possiamo dire che questo è un prezzo alto da pagare?