Il bilancio degli ultimi quattro anni è complesso: il 14 giugno 2019 è stata una mobilitazione storica e ha suscitato grandi speranze di cambiamento, anche perché in contemporanea vi sono stati gli scioperi per il clima guidati dalle giovani generazioni. Poi è arrivata la pandemia e questo ha rallentato lo slancio dello Sciopero femminista e allo stesso tempo ha messo in evidenza tutti quei lavori essenziali per il funzionamento della società, che sono per lo più svolti da donne: ospedali, scuole, servizi extrascolastici, ecc. La speranza di vedere valorizzati questi lavori è stata presto sostituita dalla delusione.
Abbiamo visto i potenti imporre ancora una volta un ritorno alla norma e al maschile, anteponendo i loro profitti alle nostre vite! Hanno ridotto l'uguaglianza a un prodotto di lusso per donne borghesi. Ma per noi l'uguaglianza non può ridursi ad avere più donne in parlamento, più donne nei consigli di amministrazione, più manager nelle aziende. Questa uguaglianza dell'1% si è espressa chiaramente durante la campagna per il voto dell'AVS 21: le donne borghesi hanno combattuto contro di noi e, insieme alla maggioranza degli uomini, ci hanno costrette a lavorare un anno in più. Non hanno espresso alcuna solidarietà nei confronti di chi ha lavori duri, salari bassi e contratti precari. Eppure sono queste lavoratrici che permettono a queste donne e ai loro coniugi di avere una carriera.
Questa apparente uguaglianza non è la nostra. Quello che vogliamo è la parità di diritti per il 99% e un cambio di paradigma: le nostre vite devono venire prima dei loro profitti! Vogliamo una diminuzione del tempo di lavoro e salari sufficienti per vivere meglio!
Oggi i nostri salari sono sotto pressione a causa dell'inflazione. Le nostre condizioni di lavoro peggiorano, l'età pensionabile delle donne aumenta e le nostre rette pensionistiche diminuiscono. Invece di investire per migliorare i servizi pubblici, la destra impone tagli fiscali a vantaggio dei ricchi. Questa realtà riguarda tutti i dipendenti. Ma per la maggior parte di noi si aggiunge a una situazione già difficile, perché i nostri salari sono più bassi, le nostre percentuali d’impiego non vengono aumentate, le nostre pensioni sono minime e continuiamo a svolgere la maggior parte del lavoro domestico gratuitamente.
Nel ventunesimo secolo, essere madre e salariata è ancora una fonte di difficoltà per molte donne e persone trans e/o non binarie. Per questo motivo abbiamo deciso di lanciare una campagna per la gravidanza e la maternità. Le lavoratrici in gravidanza, in allattamento e dopo il parto non sono tutelate contro il licenziamento e dai rischi per la salute. L'idea di considerare la maternità e la paternità allo stesso modo significa negare le esigenze specifiche della gravidanza, del parto e dell'allattamento. Infine, il congedo parentale è troppo breve e non risponde alle molteplici forme che la genitorialità assume oggi.
Abbiamo mille ragioni per fare un altro sciopero femminista e uniamo le nostre voci al grido globale delle donne e delle persone trans e/o non binarie che ovunque stanno alzando la voce per un altro mondo: Jin. Jiyan. Azadî. Donne. Vita. Libertà.