In questo periodo di crisi pandemica il personale sociosanitario è stato più volte citato come indispensabile e siamo stati visti come eroi(ne) di guerra. Tuttavia l’opinione pubblica, e in parte anche quella politica, si dimenticano spesso che quanto viene fatto giornalmente nelle strutture ospedaliere, nelle case anziani, nei servizi di assistenza e cura a domicilio e nelle istituzioni sociali è la norma, da quando esistono queste professioni. Il nostro operato molte volte viene ancora visto come una vocazione e non come una professione che richiede molto impegno. Infatti i turni nei giorni festivi e di notte, la burocrazia crescente, lo spostamento frequente dei giorni di riposo, i picchetti (ufficiali e ufficiosi) cui siamo sottoposti… spiegano perché noi operatrici e operatori siamo sovente stanchi.
Abbiamo scelto questo lavoro perché ci dà soddisfazione, perché è una scuola per la nostra vita, perché essere al servizio di chi ha bisogno delle nostre cure è fonte di gioia e ci fa sentire utili. Per essere performanti e sempre sul pezzo, come si dice al giorno d’oggi, abbiamo bisogno però di essere compresi e valorizzati, riconoscendo quanto facciamo tutti i giorni. Desideriamo essere adeguatamente considerati in termini di salario e di tempo libero. Vogliamo avere a disposizione più personale per avere turni di lavoro meno pesanti e godere di un giusto riposo. Il personale sanitario stanco e demotivato rischia di commettere errori e di entrare nella routine, che è il vero veleno per la qualità delle cure.
Fra otto anni sarò in età di pensionamento e quindi probabilmente beneficerò per poco tempo delle riforme che rivendico oggi, ma faccio appello alle nuove generazioni di non desistere e di lottare, affinché la nostra bellissima professione venga pienamente riconosciuta. Spero che i miglioramenti per i quali lottiamo possano stimolare altre/i giovani ad intraprendere questo cammino professionale. Vi invito dunque a partecipare alla mobilitazione del personale sociosanitario il prossimo 29 maggio.